Gli sponsor del terrorismo

di Vittorfranco PISANO, Presidente della Commissione per il Contrasto al Terrorismo.

Dopo 37 anni di latitanza in Francia, Messico e Brasile, la cattura in Bolivia nel gennaio 2019 e contemporanea estradizione in Italia di Cesare Battisti, già membro dei Proletari Armati per il Comunismo e corresponsabile di quattro omicidi a fini politici, inducono a riflettere sulle forme di sostegno, diretto e indiretto, materiale e psicologico, di cui hanno goduto o godono nel duplice contesto nazionale ed internazionale aggregazioni terroristiche, nonché loro affiliati o ex affiliati.
Come si evince dai documenti e saggi elencati in appendice, numerose sono le fonti di supporto al terrorismo, così come lo sono le angolature, talvolta preconcette, da cui questo argomento viene inquadrato.
Un notevole problema insito nella disamina del tema in oggetto è indubbiamente dovuto alla mancanza di una definizione universalmente recepita del terrorismo, il che alimenta il ricorso a criteri soggettivi nell’inserire o meno nel contesto terroristico determinati atti, gruppi, individui e  sostenitori. Questo problema può, tuttavia, essere superato se si è disposti a riconoscere  obiettivamente che sia l’atto terroristico consumato, sia quello preparatorio, sia quello di appoggio esulano sempre, data la loro natura, tanto dalla contesa civile quanto dal classico campo di battaglia. Da notare, però, che pure ove si tenta d’inquadrare con rigore il fenomeno terroristico emergono diverse definizioni. Lo dimostrano due esempi significativi.
Per il Dipartimento di Stato statunitense, terrorismo sta a significare violenza premeditata e politicamente motivata, perpetuata contro obiettivi non combattenti da parte di gruppi sub-nazionali, o agenti clandestini, normalmente intesa a influenzare il pubblico. In aggiunta, secondo lo stesso dicastero, il termine gruppo terroristico identifica qualsiasi gruppo che pratica o che dispone di sottogruppi consistenti che praticano il terrorismo internazionale.
A sua volta, l’Unione Europea non definisce il terrorismo ma i reati terroristici identificandoli quali atti intenzionali che […] per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno a un Paese o a un’organizzazione internazionale, quando sono commessi al fine di intimidire gravemente la popolazione o costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere qualsiasi atto, o destabilizzare gravemente le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale.
Ulteriori sfide riguardanti l’inquadramento del fenomeno e, parimenti, l’opera di contrasto riguardano la clandestinità delle strutture e dinamiche terroristiche; la frequente presenza del terrorismo quale strumento complementare in stadi più avanzati di conflittualità non convenzionale, essenzialmente l’insorgenza e la guerra civile, come attualmente nei casi di Libia, Siria, Iraq e Afghanistan; la difficile tracciabilità di alcune fonti di finanziamento; la necessità di bilanciare la lotta al terrorismo con il perseguimento di altri interessi nazionali, inclusi quelli economici; e l’esigenza di preservare, a fini utilitari, determinati rapporti diplomatici in periodi di crisi.
Va preliminarmente preso atto che molteplici aggregazioni terroristiche di sinistra, di destra e d’impostazione etnico-separatista si alimentano autonomamente ricorrendo sia a modalità illegali sia a pratiche di per se legali. Rientrano nella prima categoria furti, rapine, sequestri di persona, contrabbando, traffico di droga e di armi, riciclaggio, falsificazione artigianale di documenti e sporadici contatti unicamente strumentali con elementi della criminalità organizzata. Fanno parte della seconda categoria, ancorché a fini illeciti, diversificate attività imprenditoriali e l’acquisto di beni sul mercato. Per scopi non solo logistici, ma anche informativi, i progettatori ed esecutori di atti terroristici possono, per di più, frequentemente contare quali ausiliari su di una gamma di agitatori sovversivi, sovente terroristi in fieri. Riscontrabili sono pure i legami logistici od operativi tra talune aggregazioni terroristiche di diversa nazionalità aventi un comune denominatore ideologico.
Inoltre, ove il terrorismo costituisce un elemento complementare in situazioni di insorgenza o guerra civile, che di conseguenza comportano il controllo parziale e almeno temporale del territorio come nel noto caso del sedicente Stato Islamico di Iraq e Siria, si verificano l’accesso ed uso abusivo delle risorse delle aree occupate e l’imposizione, altrettanto indebita, di tributi sulla popolazione.
Al di là delle forme di autosostentamento, una serie di aggregazioni terroristiche ha goduto o gode tuttora dell’appoggio di fonti esterne, fra cui da tempo si annoverano Stati sostenitori con il coinvolgimento, quindi, delle massime autorità governative oppure di elementi relativamente autonomi della struttura politica o della burocrazia statale.
L’analisi proposta dalla saggistica ne illustra varie modalità, distinguendo in primo luogo tra sponsorizzazione attiva e passiva. In quella attiva rientrerebbero la concreta direzione, il coordinamento operativo e i contatti idonei per sostenere gruppi o individui. Per contro, la sponsorizzazione passiva comporterebbe tolleranza o lassismo, attribuibili a considerazioni di opportunità, oppure l’incapacità di far fronte a situazioni critiche, come nel caso di territori fuori controllo dell’ordinamento giuridico in alcune aree asiatiche, africane e latino-americane.
A livello ufficiale, solo il Governo degli Stati Uniti, in conformità di una legge finanziaria del 1979 che prevede pertinenti sanzioni, designa determinati Stati quali sponsors del terrorismo con il conseguente inserimento nella cosiddetta Terrorism List. Il criterio si basa sulla sistematicità – e non sulla mera occasionalità − con cui questi elargiscono il loro “patronato” ad aggregazioni terroristiche utili ai propri fini. Le forme di appoggio loro contestate riguardano il sostegno politico-diplomatico, l’asilo, il sostentamento logistico-finanziario e l’addestramento. E’ compito del Dipartimento di Stato pubblicare una relazione annuale sul terrorismo a livello internazionale, la quale include la Terrorism List.
Nel corso degli anni sono apparsi in quell’elenco: Yemen del Sud, inserito nel 1979 e rimosso nel 1990 a seguito dell’unificazione tra il nord e del sud del Paese; Iraq, inserito nel 1979, rimosso nel 1982, reinserito nel 1990 e nuovamente rimosso nel 2004; Libia, inserita nel 1979 e rimossa nel 2006; e Cuba, inserita nel 1982 e rimossa nel 2015.
Rientrano presentemente nell’elenco: Siria, dal 1979; Iran, dal 1984; Corea del Nord, inserita nel 1987, rimossa nel 2008 e reinserita nel 2017; e Sudan, dal 1993.
Beneficiari del sostegno iracheno e libico sarebbero state aggregazioni terroristiche palestinesi laiche, autodefinitesi organizzazioni resistenziali, e aggregazioni terroristiche di stampo politico-religioso islamico. L’Iraq avrebbe anche sostenuto separatisti curdi e la Libia separatisti nord irlandesi e baschi, oltre a terroristi di sinistra giapponesi. Lo Yemen del Sud avrebbe sponsorizzato elementi insorgenziali nello Yemen del Nord e Oman e gruppi terroristici di sinistra. Il supporto cubano sarebbe stato rivolto ad organizzazioni insurrezionali latino-americane responsabili di atti terroristici e a separatisti baschi.[1]
Sempre secondo le risultanze raccolte dal Dipartimento di Stato, Siria, Iran e Sudan tuttora sostengono, in particolar modo, aggregazioni terroristiche di stampo politico-religioso islamico, mentre la Corea del Nord, oltre all’ininterrotta concessione di rifugio a terroristi di sinistra giapponesi, è coinvolta nel terrorismo internazionale.[2]
A latere delle relazioni annuali sul terrorismo, il Dipartimento di Stato ha pubblicato negli anni Ottanta e all’inizio degli anni Novanta del secolo scorso singoli special reports rispettivamente riguardanti Siria, Libia e Iran. Detti documenti descrivono responsabilità direttamente riconducibili ad organi di quegli Stati nella perpetrazione di atti terroristici ai danni di altri governi – occidentali inclusi − e, nel caso della Libia ed Iran, ai danni di dissenzienti riparatisi all’estero.
E’ opportuno notare che praticamente gli stessi Stati che fanno o hanno fatto parte della Terrorism List sono parimenti considerati rogue states, ovvero Stati fuorilegge, dal governo statunitense. Risaltano, fra questi, l’Iraq (sotto il regime di Saddam Hussein), la Libia (sotto il regime di Gheddafi), l’Iran, la Corea del Nord e la Siria con riferimento alla loro politica in settori quali la corsa alle armi di distruzione di massa, la violazione dei diritti umani e l’inosservanza d’impegni internazionali.
L’impostazione statunitense riguardante gli sponsors statali del terrorismo è stata rafforzata negli anni Novanta da risoluzioni sanzionatorie del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nei confronti della Libia, Iraq e Sudan.
Saggisti non governativi hanno aggiuntivamente annoverato fra gli Stati “patroni” del terrorismo il Pakistan e l’Arabia Saudita, nonché l’Unione Sovietica e altri Stati membri del Patto di Varsavia. Benché mai apparsi nella Terrorism List, i predetti Paesi sono stati oggetto di monitoraggio e menzione da parte delle autorità statunitensi nel contesto terroristico.[3]
Infatti, le relazioni annuali del Dipartimento di Stato degli anni Ottanta attribuivano all’Unione Sovietica, Bulgaria, Cecoslovacchia e, genericamente, agli altri satelliti est europei un ruolo di ausilio diretto e indiretto sia a Stati sostenitori del terrorismo sia ad organizzazioni insorgenziali e gruppi terroristici da questi sponsorizzati. Inoltre, con riguardo al coinvolgimento del blocco sovietico nel terrorismo internazionale, sottocommissioni del Senato statunitense hanno condotto indagini conoscitive avvalendosi dell’audizione di ex appartenenti ai servizi d’intelligence di quei Paesi, ex alti funzionari dell’intelligence statunitense, accademici e giornalisti. Da queste indagini sono emerse responsabilità sovietiche e satellitari che hanno riguardato anche l’Italia.[4]
Analogamente, il Pakistan e l’Arabia Saudita sono stati oggetto di monitoraggio relativamente alla loro affidabilità nell’impegno anti-terroristico.[5] Infine il Nicaragua, sotto il regime sandinista, è stato ritenuto dal Dipartimento di Stato sostenitore di guerriglieri in America centrale e meridionale e complice di aggregazioni terroristiche europee di sinistra e separatiste.
A sua volta una corrente della saggistica, fortemente caratterizzata da errori fattuali e da illazioni senza riscontro, attribuisce al governo degli Stati Uniti e alla NATO disegni sovversivi e/o golpisti a fini imperialistici anche con l’impiego del terrorismo. Rientrano in questo contesto il falso manuale da campo FM 30-31B e le pretestuose asserzioni riguardanti la rete stay-behind, nota in Italia come Gladio. Accuse sono, altresì, state rivolte nei confronti d’Israele senza distinguere tra le operazioni speciali, incluse quelle “chirurgiche”, miranti a tutelare la sicurezza nazionale e il terrorismo in senso tecnico. Lo stesso milieu ha attribuito ad entrambi gli Stati Uniti ed Israele, senza alcuna prova, la paternità degli attentati dell’11 settembre 2001 a New York e Washington.
A seguito dell’affievolimento del terrorismo di matrice  laica e del progressivo incremento di quello politico-religioso è cresciuta, a partire dagli anni Ottanta, l’incisività del sostegno da parte di fonti private. Questo sviluppo ha dato vita al termine “privatizzazione del terrorismo” soprattutto per inquadrare strutture binarie da un lato apertamente dedite a scopi che spaziano dalla propaganda ideologica all’assistenza socio-economica e, dall’altro lato, caratterizzate dalla clandestinità con propositi terroristici. Nella convinzione di promuovere meritevoli cause per il tramite del loro volontariato od apporto economico, sfugge a varie organizzazioni e cittadini privati il nesso operativo ed il flusso di beni, servizi e denaro da un lato all’altro del binario.
Sebbene fosse già da decenni operativo questo modello binario, particolarmente nell’ambito del terrorismo etnico-nazionalista ed in significativi casi rafforzato dal fenomeno della diaspora (ad esempio, palestinese, curda e armena), la sua efficacia si è più recentemente estesa e raffinata con il dilagare del radicalismo islamico. Se ne sono avvalse tanto le aggregazioni minori quanto le più articolate, fra cui risaltano al-Qaida ed il sedicente Stato Islamico di Iraq e Siria. Facilitato dal precetto religioso della zakat, ovvero elemosina o beneficenza, è emerso un complesso intreccio che abbraccia consapevolmente o inconsapevolmente organizzazioni non governative, fondazioni caritatevoli di mutua assistenza, centri di gestione della beneficenza, banche islamiche (a cui è proibita l’applicazione dell’interesse) e imprese commerciali o finanziare legittime o illegali. I canali di trasmissione del denaro includono l’impiego di corrieri e il ricorso alla hawala, ossia la rimessa fiduciaria.
Oltre al sostegno materiale mirato, perpetratori del terrorismo internazionale ripetutamente traggono significativi benefici sia da concessioni vere e proprie sia da negoziati che nella sostanza costituiscono cedimenti da parte di Stati sovrani vittime delle aggressioni tanto effettive quanto potenziali di matrice terroristica. Sono annoverabili la messa a disposizione del territorio nazionale per il transito e attività collegate di elementi appartenenti a consorterie terroristiche straniere; il pagamento di riscatti per ottenere la liberazione di propri cittadini sequestrati all’estero; lo scambio di sedicenti detenuti politici con ostaggi o i loro resti; e il rilascio e rimpatrio di terroristi allo scopo di prevenire rappresaglie. Fonti disponibili nel pubblico dominio includono fra gli Stati che si sono piegati a ricatti e condizionamenti Francia, Germania, Italia, Svizzera, Israele e Stati Uniti.
Infine, una specifica forma di sostegno che, nonostante la sua influenza, ha ricevuto inadeguata attenzione riguarda l’incoraggiamento psicologico sotto forma di giustificazioni in nome della “superiorità morale” da parte di determinate forze politiche ed ambienti intellettuali  in cui ha soggettivamente prevalso la simpatia per “cause” e “valori”, anziché il disdegno per strutture e dinamiche illecite e violente.
Tali atteggiamenti spaziano dalle espressioni “i compagni che sbagliano” ad, addirittura, “il terrorismo di destra mascherato da terrorismo di sinistra” già utilizzate per descrivere le azioni delle Brigate Rosse in Italia e di analoghe aggregazioni europee, collettivamente autodefinitesi “partiti comunisti combattenti”. Altro esempio riguarda la solidarietà, protrattasi nel tempo, che note personalità hanno dimostrato nei confronti del predetto Cesare Battisti in Italia e all’estero anche sotto forma di appelli e rilascio d’interviste. Questi atteggiamenti hanno trovato terreno fertile nei vari casi di “politica di accoglienza” come sotto le presidenze di Mitterrand in Francia e di Lula in Brasile.
Parimenti rilevante, nel più recente ed attuale contesto, è il clima di tolleranza e arrendevolezza − da cui traggono un senso d’impunità aggregazioni di stampo politico-religioso − riscontrabile in nazioni di cultura cristiana a seguito di iniziative ingenuamente intese a non recare offesa agli altrui sentimenti religiosi. Risaltano episodi verificatesi in Italia quali la rimozione del presepe in strutture scolastiche, la modificazione di Gesù in Perù in una canzoncina cantata in una scuola elementare, la rinunciata celebrazione della messa natalizia in una scuola cattolica e la copertura di statue “nude” in occasione di visite di suscettibili dignitari stranieri, nonché di altrettante iniziative estere quali la mancata menzione, in un documentario francese, della matrice radicale islamica nell’attentato al Bataclan di Parigi il 13 novembre 2015 e la rimozione della croce facente parte del simbolo di una squadra calcistica spagnola.
Mentre si può realisticamente prevedere che elementi del milieu terroristico continueranno con successo a finanziarsi per il tramite di propri mezzi e metodologie, la fermezza nel contrastare il sostegno esterno, sia materiale sia psicologico, è irrinunciabile ai fini del graduale indebolimento del fenomeno terroristico, malauguratamente non debellabile ma sicuramente controllabile con il sistematico impiego di adeguate misure nel rispetto della legalità.

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Appendice: Riferimenti Bibliografici

Documenti

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  • Bureau of Public Affairs, United States Department of State, Syrian Support for International Terrorism: 1983-86, Special Report No. 157, Washington, D.C., Gennaio 1987
  • Comando Generale della Guardia di Finanza, II Reparto – Ufficio Analisi, Il finanziamento al terrorismo internazionale di matrice islamica, Roma, 2003
  • Congressional Research Service (stesura a cura di Raphael F. PERL), Terrorism, the Future, and U.S. Foreign Policy, Washington, D.C., 11 luglio 1997
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  • Hearing Before the Subcommittee to Investigate the Administration of the Internal Security Act and Other Internal Security Laws, 12 Aprile 1976, Communist Bloc Intelligence Activities in the United States [audizione di Frantisek August, ex agente dei servizi cecoslovacchi], U.S. Government Printing Office, Washington, D.C., 1976
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  • Hearings Before the Subcommittee on Security and Terrorism, United States Senate, 11 e 12 Giugno 1981, Historical Antecedents of Soviet Terrorism, U.S. Government Printing Office, Washington, D.C., 1981
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Saggi

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  • David DUNBAR & Brad REAGEN (a cura di), Debunking 9/11 Myths: Why Conspiracy Theories Can’t Stand Up to the Facts, Hearst, New York, 2006
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  • Vittorfranco PISANO, ”Conflittualità: La sfida analitica posta dalle operazioni speciali”, Affari Esteri (Roma), N. 166,  Primavera 2012
  • Vittorfranco PISANO, Italia e Stati Uniti. Terrorismo e disinformazione, Nuova Cultura, Roma, 2016
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Note
[1] Rientrano nelle rispettive categorie: Organizzazione Abu Nidal, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina – Comando Generale, Fronte di Liberazione della Palestina, Jihad Islamica Palestinese, Ansar al-Islam, al-Qaida, Congresso del Popolo del Kurdistan (PKK poi KHK), Esercito Repubblicano Irlandese Provvisorio (PIRA), Patria e Libertà Basca (ETA), Armata Rossa Giapponese, Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane e Esercito di liberazione Nazionale, anch’esso colombiano. Il sostegno cubano è anche stato oggetto di indagini conoscitive da parte del Senato statunitense.
[2] Vanno aggiunti, rispetto all’elencazione riportata nella precedente nota, Hizballah, Hamas e Gruppo Islamico.
[3] Mentre è rimasto invariato l’inquadramento statunitense del fenomeno terroristico, si riscontrano leggere modificazioni illustrative nelle relazioni annuali del Dipartimento di Stato con riguardo al sostegno elargito da determinati Stati. E’ quindi necessaria un’attenta lettura di questi documenti onde evitare conclusioni imprecise.
[4] Per quanto riguarda complicità sovietiche e bulgare, dirette o indirette, nell’attentato a Giovanni Paolo II nel 1981 a Roma, il governo di Washington si è astenuto dall’attribuire responsabilità. Il caso è stato comunque trattato in pubblicazioni non ufficiali da ex funzionari federali statunitensi.
[5] In via sussidiaria alla Terrorism List fu pertanto proposta la compilazione di un elenco informale di osservazione – Informal Watch List −  per l’inclusione provvisoria di determinati Stati.

Pubblicato il 22 maggio 2019