Al-Qa’ida e George Floyd

Di Dr. Enrico Colarossi, Commissione Contrasto al Terrorismo

 

La morte del cittadino afroamericano George Perry Floyd avvenuta lo scorso 25 maggio a Minneapolis, a seguito del suo arresto, ha dato vita a numerose manifestazioni di protesta contro il fenomeno del razzismo. Tale vicenda ha avuto risonanza mondiale e diverse proteste sono state organizzate, molte delle quali promosse dal movimento statunitense Black Lives Matter (BLM) ed altre da esso ispirate, come in Francia e in Gran Bretagna. In diversi casi si sono registrati incidenti causati anche dalla partecipazione di elementi legati ai gruppi cosiddetti dei black-bloc, solo in apparenza legati “ideologicamente” al BLM, come anche di movimenti antagonisti o frange di estrema destra. Negli stessi Stati Uniti d’America gli scontri con le forze di polizia, i saccheggi e la distruzione di centri commerciali e negozi hanno raggiunto un livello di violenza tale da provocare anche un aumento pericoloso di omicidi. Circostanze queste che hanno costretto le autorità governative ad attuare misure di contenimento forti e stringenti, sino a dichiarare il coprifuoco o l’intervento della Guardia Nazionale per sedare i disordini in diverse aree.
Un contesto apparso immediatamente ideale a tutte le organizzazioni estremiste, il cui obiettivo è quello di creare disordini e tensioni con l’obiettivo finale di sovvertire l’ordine democratico dando origine al caos totale.
In questo periodo, le attività di propaganda di al-Qa’ida hanno sfruttato “strumentalmente” la morte di George Floyd trasmettendo il “Messaggio per le oppresse popolazioni occidentali”.

One Ummah, 2 giugno 2020

Un messaggio rivolto alla ‘umma musulmana, ma non solo, dove l’organizzazione qaedista attraverso il numero 2 della rivista One Ummah ha voluto sottolineare come tra gli obiettivi preposti vi sia anche la battaglia contro l’oppressione delle comunità minoritarie, politiche, religiose e razziali, proclamandosi “campione degli oppressi”. Espressione già utilizzata da al Qa’ida con il preciso scopo di avvicinare e reclutare nuovi adepti, spesso componenti delle comunità vittime della brutalità della polizia, come nel caso del cittadino afroamericano Floyd, o di un sistema statuale non sufficientemente capace di contrastare minacce di natura sanitaria, come nel caso della pandemia da Covid-19,nonché vittime della stessa incapacità dei governi occidentali di uscire da una persistente crisi economica.

Le campagne di propaganda on-line di al-Qa’ida sono state potenziate e rese ancor più sofisticate e la stessa rivista One Ummah enfatizzerà la vicenda George Floyd mettendola in copertina. L’obiettivo è quello di lanciare un messaggio dal contenuto propagandistico netto e a tale scopo viene proposta l’immagine del graffito realizzato dall’artista Bansky ritraente la bandiera degli Stati Uniti d’America che inizia ad essere “mangiata” dalla fiamma di una candela commemorativa, evidentemente posta a ricordo del cittadino afroamericano. Immagine con la quale l’organizzazione qaedista intende sottolineare la fragilità del sistema politico statunitense di fronte a tale evento.
Anche in questo caso la propaganda qaedista si è mostrata interessata ad inviare un messaggio di chiara natura politica, circostanza oltretutto confermata dal contenuto del successivo proclama, dove al-Qa’ida è rappresentata come unica realtà in grado di salvare l’America dalle proteste “armate”. Proteste che hanno assunto un’entità talmente pericolosa da essere addirittura etichettate come guerra civile nel magazine di al-Qa’ida dove viene, altresì, aggiunto che neanche i rappresentanti del partito democratico possono essere fonte di risoluzione dei problemi statunitensi. Nel periodo pre-elettorale le dichiarazioni rese dall’organizzazione jihadista assumono particolare importanza: queste affermano che “Le proteste armate infuriano in tutta l’America e sembra che sia in atto una guerra civile”, ed anche, “nemmeno i democratici possono aiutarti ma noi possiamo”. Il messaggio viene accompagnato da altra immagine dall’elevato valore propagandistico dove il Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump e il suo predecessore democratico Barack Obama, sono ritratti insieme e sorridenti mentre manifestanti danno fuoco alla bandiera statunitense.

One Ummah, 2 giugno 2020

Attraverso i contenuti dell’ultimo numero di One Ummah, al-Qa’ida ha voluto manifestare la volontà di tornare sulla scena, almeno quella mediatica e propagandistica, per contrapporsi a quella più diffusa ed evidentemente meglio organizzata, dello Stato Islamico. Da sempre la propaganda di al-Qa’ida è caratterizzata da messaggi aventi natura teologica e, anche nel caso in esame, chiede ai cittadini statunitensi e soprattutto ai giovani, di convertirsi all’Islam.
I giovani che vivono in condizioni di disagio sociale ed economico, rappresentano da sempre l’obiettivo prediletto dalle organizzazioni jihadiste, ed è in questo preciso momento che al-Qa’ida invia loro l’appello ad aderire al jihad per colpire il miscredente. Questo generale disorientamento e “vuoto”, non perfettamente colmato dalle istituzioni dei Paesi occidentali e degli States, si presentano all’organizzazione jihadista come un’occasione propizia per presentarsi come fonte di salvezza, in grado di fornire quella identità individuale e collettiva certa che molti giovani cercano, ma anche in grado di soddisfare le più elementari necessità e bisogni della comunità.
Le organizzazioni jihadiste sfruttano anche un’altra importantissima circostanza, ovvero la scarsa se non assente cultura e conoscenza religiosa che molti simpatizzanti dell’ideologia radicale e salafita presentano, condizione che li rende terreno ancor più fertile della propaganda e delle attività di proselitismo. Se a tale condizione si aggiunge anche il forte sentimento di sfiducia che molti soggetti nutrono nel sistema politico e sociale dei Paesi in cui vivono, magari perché vittime di atti classismo, di razzismo o emarginazione dipendenti dalle loro origini, ciò può contribuire all’avvio di un processo di radicalizzazione violenta.

In questo contesto, il messaggio che l’organizzazione invia potrebbe trovare forte corrispondenza da parte di potenziali simpatizzanti. Infatti, attraverso la citata rivista, il proclama inviato è “al-Qa’ida è qui per aiutare”. Un messaggio che, con sorprendente semplicità, si innesta in un più significativo messaggio dal punto di vista propagandistico, veicolato dalla rivista One Ummah che diviene lo strumento per sottolineare la comunanza di obiettivi col movimento Black Lives Matter. Propone a tale scopo un affiancamento “strategico” dei Profeti delle due più grandi religioni a livello globale, Gesù Cristo e Muhammad, un affiancamento che ha il preciso scopo di designare gli Stati Uniti d’America, il “Grande Satana” e il suo più fidato alleato lo Stato di Israele, quali obiettivi di natura “politica” da colpire.

La rivista riassume questi concetti con le seguenti espressioni, “Gesù Cristo e Muhammad lottarono per l’uguaglianza e per liberare i popoli dalla schiavitù dell’élite capitalista”, e quindi al-Qa’ida invoca una “… rivoluzione che possa sovvertire la dispotica egemonia globale degli Stati Uniti d’America”.
L’Islam viene raffigurato come dall’organizzazione jihadista come fonte di salvezza, così come in passato “l’Islam ha dimostrato che il vero nemico della libertà sono gli ebrei, gli stessi che crocifissero Cristo, l’unico che li difese dai romani”.

La morte di George Floyd ha avuto risonanza anche in altri Paesi stranieri e diverse sono state le proteste che si sono innescate in Europa, su ispirazione di quelle organizzate dal movimento statunitense Black Lives Matter. In Francia e in Gran Bretagna si sono verificate azioni di particolare violenza, promosse e condotte da elementi legati ai gruppi Black-bloc che hanno approfittato delle proteste pacifiche per attaccare le istituzioni di quei Paesi.
In Francia, sull’onda delle proteste contro il razzismo, le manifestazioni sono degenerate in violenti scontri tra la comunità cecena e cittadini di origine marocchina nella città di Digione, scontri che hanno raggiunto momenti di particolare pericolosità per la pubblica sicurezza dopo che le fazioni si sono confrontate anche con l’uso di armi automatiche.
Le successive attività investigative non hanno certificato legami tra i movimenti di protesta e soggetti vicini a cellule o organizzazioni jihadiste o, comunque, simpatizzanti di ideologie jihadiste ma di certo le citate circostanze potrebbero favorire eventuali alleanze.

Alleanze di cui si fa esplicito riferimento in uno dei manuali operativi diffusi dalla sezione media dello Stato Islamico. Si tratta del testo How to Survive in the West, diffuso dal sedicente Califfato nel 2015 con l’obiettivo di fornire tutte quelle nozioni di carattere operativo utili alla formazione del mujaheddin al servizio dell’organizzazione jihadista.
Tra i temi affrontati dal manuale, vi è quello delle alleanze tra cellule jihadiste e gruppi anarchici occidentali con l’obiettivo di promuovere manifestazioni, anche violente, col pretesto di ribellarsi al razzismo o all’incapacità dei Governi di gestire la situazione sanitaria in atto, altra circostanza di elevato interesse.
Il capitolo 11 del manuale, intitolato “Guerra di protesta”, consiglia il mujaheddin di sfruttare l’instabilità sociale del Paese in cui risiede e creare alleanze con i citati gruppi antagonisti per organizzare movimenti di contro-protesta che possano innescare l’agognata “futura Jihad in Europa”. Vengono fornite indicazioni anche di carattere operativo, ovvero di come condurre delle efficaci azioni di “guerriglia” alle quali devono partecipare elementi della cellula jihadista e i suoi alleati al fine di contrapporsi alle forze di polizia e di sicurezza governative.

Manifestazioni contro il razzismo ispirate da quelle condotte negli States, hanno avuto luogo anche in Italia e in alcuni casi si verificati spiacevoli disordini che hanno evidenziato l’esistenza di una subcultura vicina ad ideologie estremiste che potrebbero favorire le citate alleanze o, comunque, una sinergia con le azioni di soggetti vicini ad ambienti salafiti.
Tra questi eventi va annoverato quanto accaduto a Milano il 13 giugno 2020 quando all’interno dei giardini pubblici la statua commemorativa del giornalista Indro Montanelli è stata vandalizzata con della vernice rossa e sulla struttura che lo sorregge è stato “razzista” e “stupratore”.
L’azione è stata in seguito rivendicata dal sedicente movimento Rete Studenti Milano e Lume, una sigla antagonista che attraverso Facebook ha diffuso delle dichiarazioni, nonché, la richiesta di rimozione della statua. Lo slogan, più volte ripetuto dai movimenti di protesta, affermava “Il colonialismo è stupro, togliete quella statua” aggiungendo un frase con la quale giustificare la propria azione, ovvero: “Con questo gesto vogliamo inoltre ricordare che, come ci hanno insegnato e continuano a insegnarci movimenti globali come ‘Non Una Di Meno’ e Black Lives Matter, tutte le lotte sono la stessa lotta, in un meccanismo intersezionale di trasformazione del presente e del futuro. Se il mondo che vogliamo tarda ad arrivare, lo cambieremo”.
Anche in questo caso appare doveroso sottolineare come non sussistano legami tra jihadisti e il movimento di protesta ma le citate dichiarazioni potrebbero rappresentare il pretesto per innescare azioni ancor più importanti che mirino ad avviare quella guerra di protesta tanto invocata nel manuale dello Stato Islamico.

Si immagini quale importanza dal punto di vista propagandistico possano rappresentare per un’organizzazione jihadista le dichiarazioni sopra riportate, per quelle stesse organizzazioni da sempre in guerra contro i Governi miscredenti responsabili di essere “colonizzatori”, ancora oggi, delle Terre sacre dell’Islam.
Da qui la rinnovata necessità per la comunità internazionale, di prevenire e contrastare la minaccia di disordini e tensioni strategicamente innescati e alimentati da gruppi estremisti, il cui obiettivo è quello di sovvertire l’ordine democratico dando origine al caos totale.
Il concetto di caos per il mondo musulmano assume un’importanza tanto temuta quanto importante ed oggi il pericolo che il disordine possa colpire la ‘umma viene strumentalmente utilizzato da quegli imam radicali per scopi puramente propagandistici.
Per l’Islam il principio del caos è associato a quello di fitna, che nella lingua araba significa sedizione ed anche disordine, realtà fortemente temuta da tutta la comunità islamica. La ‘umma teme che il disordine possa condurre alla disgregazione totale della comunità stessa e che affrontare forti scontri interni possano mettere in serio pericolo l’esistenza e l’integrità della religione musulmana su tutta la Terra. Il timore, quindi, di una nuova scissione della comunità musulmana come quella vissuta alla morte del Profeta Muhammad: il primo grande disordine che ha portato la ‘umma a dividersi in correnti, quali la nascita della fazione sunnita e di quella sciita, ancora oggi motivo di forti contrasti all’interno della comunità stessa.

Il Corano con la Sura II, al-Baqara, versetto 191, sottolinea la gravità e pericolosità della fitna per la comunità musulmana e viene infatti così definita: “la sovversione è più grave dell’uccisione”.
Oggi si è testimoni anche ad una interpretazione più ampia del termine fitna, laddove si vuole attribuire a questa espressione una condotta che conduce alla disobbedienza dei dettami coranici, mettendo in discussione la totale sottomissione del fedele ad Allah che avrebbe la tendenza ad avvicinarsi a forme di ateismo.
Concetto che lo stesso Profeta Muhammad in un hadith ad egli attribuito, ha così descritto: “Dopo di me scoppieranno dei disordini, tali che colui che è credente al mattino sarà un infedele alla sera, e colui che è credente alla sera sarà un infedele il giorno dopo”.
I disordini all’interno della comunità musulmana, secondo alcuni imam radicali già guide spirituali ed ideologiche di organizzazioni jihadiste, è considerato prossimo a concretizzarsi o, addirittura, già in essere. Il sopraggiungere della fitna viene considerata l’espressione della volontà divina, la volontà di Allah che vuole punire la ‘umma per i peccati commessi e il Giorno del Giudizio viene descritto nelle prediche radicali come un’opportunità di “rinascita” per il “vero” Islam.