Ucraina: sarà Draghi a favorire il dialogo?

di Fabio Squillante, Direttore Agenzia Nova, componente Comitato Strategico.

La crisi ucraina continua a provocare fortissime tensioni internazionali, in particolare con l’intensificarsi degli incidenti ai confini delle due repubbliche separatiste del Donbass, dove un militare ucraino è rimasto ucciso in un bombardamento lanciato dai filo-russi. Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, si è detto convinto che il suo omologo russo, Vladimir Putin, sia intenzionato ad invadere il Paese vicino, anche se Mosca non ha un solo motivo valido per arrivare ad una simile decisione.

Kiev non può aderire alla Nato, a causa del conflitto interno nel Donbass e della disputa territoriale con la Russia sulla Crimea: condizioni che, secondo la Carta atlantica, non consentono l’adesione all’Alleanza. Un’invasione, che peraltro richiederebbe l’impiego di forze enormemente superiori ai 130 mila o 190 mila uomini attualmente schierati nell’arco che va dalla Crimea alla Bielorussia. Una guerra infliggerebbe a Mosca pesantissime perdite umane, oltre che una grave crisi economica.

Milioni di famiglie russe hanno legami di sangue al di là del confine, fratelli e sorelle, zii, nonni, cugini, genitori e figli. Un conflitto di questo genere rappresenterebbe la tomba politica di Putin, senza che peraltro vi sia un qualsiasi motivo razionale a giustificarlo. L’atteggiamento muscolare del presidente russo non è dunque dettato dalla volontà di guerra, ma da tutt’altre considerazioni.

Lo scenario geopolitico ha rafforzato la posizione della Russia rispetto alla Cina, ma anche nei confronti degli Stati Uniti. La decisione dell’Unione europea di puntate alla decarbonizzazione, inoltre, ha fornito a Putin l’occasione per mostrare a Bruxelles e alle altre capitali dell’Ue che cosa significa nell’immediato anche una pur lieve riduzione delle forniture energetiche da Mosca. Incalzata dagli Stati Uniti nella nuova Guerra fredda, la Cina ha assoluta necessità di garantirsi crescenti forniture energetiche, sicure e a lungo termine, per poter mantenere la propria capacità produttiva e sviluppare il mercato interno.

Fallito il tentativo di golpe in Kazakhstan, l’unico Paese che può garantire queste forniture a Pechino è oggi la Russia, che vede dunque un riequilibrio a proprio favore dei rapporti di forza con il vicino asiatico. La Cina, peraltro, potrà rappresentare un futuro mercato alternativo a quello europeo per il gas russo, una volta che l’Europa avrà intrapreso il processo di decarbonizzazione.

La legge di bilancio 2022, varata per volere di Putin, si basa su un costo del petrolio pari a 43 dollari al barile, mentre i prezzi attuali sono quasi doppi, il che significa che l’attuale crisi sta gonfiando le casse pubbliche russe, garantendo al leader del Cremlino una notevole capacità di manovra politica, in vista delle prossime elezioni presidenziali.

D’altra parte, anche il presidente Biden ottiene notevoli vantaggi dall’acuirsi dalle tensioni. Gli alleati europei, infatti, si trovano costretti a ricompattarsi nei ranghi dell’Alleanza atlantica come non avveniva da parecchi anni, mentre il deficit di gas che affligge numerosi paesi dell’Unione, provocando i forti rialzi delle bollette per imprese e famiglie, rivitalizza l’industria statunitense dello “shale gas”. Nel solo mese di gennaio le navi metanifere Usa hanno portato in Europa oltre 5 miliardi di metri cubi di Gnl, ridando fiato a un settore dell’economia Usa che negli ultimi dieci anni aveva vissuto una crisi profonda.

Di fatto, le tensioni intorno all’Ucraina comportano importanti benefici politici ed economici tanto a Mosca quanto a Washington. A farne le spese sono prime fra tutti l’Ucraina stessa, che subisce la fuga degli investitori esteri e l’incertezza politica interna, e la Cina, che in quanto primo consumatore mondiale di energia, vede i costi di produzione crescere in maniera esponenziale, in un momento in cui il deficit di materie prime provoca già da tempo prolungati blackout in tutte le grandi città, a danno tanto delle famiglie quanto delle imprese.

Tra i perdenti c’è ovviamente anche l’Europa che, pur avendo ben altre capacità di assorbimento degli shock rispetto alla Cina, deve comunque affrontare i problemi politici ed economici che l’aumento della bolletta energetica comporta.

Un avvitamento della crisi è possibile, magari a causa di un incidente causale o provocato. Il riaccendersi del conflitto a bassa intensità nel Donbass potrebbe fornire il detonatore naturale per il precipitare di una crisi peggiore. Le autorità delle due repubbliche separatiste nell’est dell’Ucraina stanno evacuando verso la Russia la popolazione civile ed hanno invitato tutti gli uomini validi a mettersi a disposizione delle forze di difesa, mentre gli scontri sulla linea di demarcazione si moltiplicano.

Nonostante tutto, non è affatto escluso che il dialogo tra Usa e Russia possa invece svilupparsi, sulla base di comuni convenienze. Perché ciò avvenga, però, sarà necessario avviare prima una fase di distensione che non sarà necessariamente breve. Il primo tentativo, segnato dall’insuccesso, è stato compiuto dal presidente francese Emmanuel Macron, nell’incontro avuto a Mosca con Putin lunedì 7 gennaio. Il secondo, segnato da un piccolo gesto di buona volontà da parte russa – l’annuncio di un ritiro parziale delle forze armate, peraltro smentito da Washington – è stato operato dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, ricevuto da Putin al Cremlino martedì 15 febbraio.

Forse il terzo tentativo potrebbe portare, infine, a qualche risultato. Era stato lo stesso Putin, nella sua conferenza stampa di fine anno, a dichiarare che l’Italia di Mario Draghi avrebbe potuto svolgere un importante ruolo di mediazione tra Mosca e la Nato. Ed è stato proprio il presidente russo a chiedere al presidente del Consiglio, Mario Draghi, di recarsi a Mosca nei prossimi giorni.

Il premier italiano, dunque, visiterà nei prossimi giorni Kiev e la capitale russa, con l’obiettivo di favorire un incontro tra Putin e il suo omologo ucraino, Volodymyr Zelensky. Sarà presto possibile verificare se il leader del Cremlino vorrà effettivamente puntare su Draghi come interlocutore privilegiato in Europa. Un eventuale successo accrescerebbe ulteriormente il già alto prestigio internazionale del presidente del Consiglio, rafforzandone la posizione anche sul piano politico interno. © Agenzia Nova – Riproduzione riservata

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